di ANTONIO LUDOVICO
Nell’immaginario collettivo di ogni tifoso del Catanzaro calcio, il sogno inconfessabile, la fantasia più probabile per la quale venderesti anche l’anima al diavolo è certamente quello di indossare una maglia meravigliosa, carica di significati e di magia.
Quella maglia per cui butteresti il cuore oltre l’ostacolo, spingeresti il pedale dell’acceleratore oltre ogni limite, proveresti anche a barare, se fosse possibile.
Ebbene, Fausto Silipo, per un catanzarese vero incarnava tutto questo: la consapevolezza di avercela fatta, la fortuna di rappresentare quei colori, la passione che si tramutava in lavoro, la salita che diventava discesa.
Perché quella di Silipo è una storia vera, fatta in casa, buona come il pane appena sfornato, la storia di un ragazzo volenteroso, con delle qualità indiscutibili naturalmente, che arrivò persino ad incrociare i tacchetti con il grandissimo Edson Arantes do Nascimento, per gli amici semplicemente Pelé.
Gli anni erano quelli giusti, quelli in cui si provava a far miracoli, ma erano anche anni socialmente difficili, i mezzi per farli erano scarsi, si campava con i sogni e la passione, con la forza di volontà e l’abnegazione.
Come non ricordare, infatti la scritta alla discesa del Macello “Freda libero, Silipo stopper”?, ricordi indelebili del processo per la strage di Piazza Fontana celebrato proprio nel capoluogo calabrese?
Senza dimenticare poi che il Catanzaro di Ceravolo, nei primi anni settanta, era una combriccola di giovani provenienti tutti dall’estremo nord, chi dal lontanissimo Friuli, chi dal Veneto, chi dalla Romagna bella;
purtroppo, di catanzaresi neanche l’ombra, solo qualche comparsa, ma nessuno con il piglio del protagonista nato e cresciuto nelle rughe e nei vicoli stretti della città delle tre V, nessuno con gli amici a Villa Trieste o alla “Stella”, nessuno di Pontepiccolo o della “Sala”.
Nessuno tranne Fausto, il predestinato, il difensore con il fisico aitante, il terzino che sapeva marcare tutti, quello che garantiva solidità, forza fisica, stacco di testa, robustezza, tutte doti che mandavano in sollucchero ogni allenatore.
Ma anche il difensore che riusciva a spingersi avanti, a fare gol, ad elevarsi fino al cielo per colpire una sfera di cuoio pesante come il marmo.
Tre squadre contrassegnarono la ricca carriera di Faustino: il Catanzaro, il Genoa e il Palermo e, particolare di non poco conto, con tutte e tre vestì i panni del protagonista, anche del capitano, lasciando segni indelebili nei tifosi e dirigenti.
Conquistò due promozioni storiche con le Aquile giallorosse, sfiorò una Coppa Italia con il Palermo (persa contro la Juventus per 2/1 al secondo tempo supplementare), disputò partite importanti con i grifoni rossoblu, lasciando sempre il segno, come solo un guerriero sa fare.
In marcatura, contro gente come Pulici, Graziani, Bettega, Savoldi, non pischelli alla prima esperienza calcistica, fece sempre la sua bella figura.
Così come era solito fare al vecchio Militare, sotto la “Curva del pino”, tra la sua gente, i compagni, i giornalisti amici, sua madre, non suo padre, purtroppo deceduto prematuramente.
Ma la carriera di Silipo ebbe riscontri interessanti anche come allenatore, tra la sua città e il Cosenza, sempre alla ricerca di giovani virgulti da buttare nella mischia, nella consapevolezza che le fortune di una società fossero sempre i suoi vivai.
Così come anche il suo essere fuori dagli schemi, una personalità diversa dagli altri, il buon Faustino lo dimostrò anche in altri settori, lontani anni luce dai campi verdi, quali la pittura e la scrittura (a proposito, per chi non l’avesse ancora letto, consiglio di procurarsi il bel libro autobiografico “C’era un ragazzo che come me”, Titani ed., spaccato felice di un pezzo di storia giallorossa, ma non solo), dimostrando insperate doti artistiche, tipiche solo di chi possiede una sensibilità fuori dal comune.
Dimenticavo l’uomo: umile, sempre disponibile, con l’accento giusto, colui che è solito voltarsi indietro, che non inciampa mai, una persona prodiga di consigli, che raramente alza la voce, che sa stare al mondo, che avrebbe certamente meritato qualcosa in più. Un grande, senza dubbi o perplessità.
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