In esclusiva ai nostri microfoni, Stefano Casale, ex centrocampista di Reggina e Cosenza. Nel suo anno in riva allo Stretto, contribuisce all'immediato ritorno in A degli amaranto, sfortunata invece l'esperienza in rossoblu, culminata con la retrocessione e il consegue fallimento societario. Il legame tra Stefano Casale e la Calabria, ancora oggi è indissolubile, tanto ad averlo portato alla scelta di viverci  anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.

Ciao Stefano, vista questa emergenza sanitaria, tu saresti favorevole alla ripresa dei campionati oppure sarebbe meglio fermare tutto ?

“Non sono d’accordo sulla ripresa dei campionati, bisogna salvaguardare la salute di tutti. Credo che alla fine questo campionato dovrebbe concludersi così, poi è chiaro che non è per nulla facile decidere, ma bisogna anche considerare che non sarà facile riprendere nemmeno per i giocatori stessi. L’Italia purtroppo conta un numero troppo elevato di vittime a causa di questo virus. Vista la situazione, non assegnerei lo scudetto, farei salire alla categoria superiore chi è attualmente in testa nei rispettivi campionati e infine bloccherei le retrocessioni”.

In questi giorni si è parlato molto di riforme dei campionati, tu che idea ti sei fatto a riguardo?

“Il calcio è bello tutto, ma è giusto che ci siano delle categorie, in modo da premiare la meritocrazia. Sono favorevole a far diventare la Serie C semiprofessionismo, per il semplice motivo che non è economicamente sostenibile. A parte Reggina, Monza, Bari e qualcun’altra società, le altre non hanno mediamente una vita lunga in questa categoria, vivendo gravi difficoltà economiche, soprattutto i giocatori che non guadagnano molto, costretti poi ad un futuro incerto. Per questi ragazzi, una volta smesso di giocare, non tutti continueranno a rimanere nel mondo del calcio e di conseguenza dovranno cercarsi un nuovo lavoro, cosa per nulla facile per chi ha soltanto fatto il calciatore. Sono dell’idea che ci debba essere una Serie A europea, dove tutte le più forti squadre d’Europa si affrontino in unico campionato, mentre le altre andrebbero in due gironi che formerebbero una Serie A2, d poi in caso di vittoria le squadre avrebbero accesso alla categoria superiore. La Serie C diventerebbe un campionato semiprofessionistico, con la possibilità di orientare gli atleti nel mondo del lavoro una volta terminata la loro carriera, in modo da potergli garantire un futuro, perché purtroppo il calcio non è per sempre".

Nella tua importante carriera da professionista, hai anche indossato la maglia della Reggina per una stagione, contribuendo notevolmente all’immediato ritorno in A da parte degli amaranto. A distanza di tanti anni, che ricordi conservi della tua esperienza a Reggio Calabria?

“A Reggio ho lasciato tanti amici, per me è davvero raro lasciare amici fuori dal mondo del calcio, invece tutt’oggi ne ho tanti. Ho condiviso tantissime cose belle a Reggio Calabria, vieni rispettato per la persona che sei e non per quello che rappresenti. Uno dei miei più cari amici è Fortunato Martino, con il quale c’è un’amicizia fraterna e sappiamo benissimo di poter contare l’uno sull’altro”.

Dopo Reggio sei rimasto comunque in Calabria, trasferendoti a Cosenza, città dove tutt’oggi vivi. Che annata fu,  quella con la maglia rossoblu ?

“Quella a Cosenza fu un’annata particolare, avevamo una rosa di qualità, basti pensare che prima del mio infortunio eravamo primi in classifica, poi ci furono dei gravi problemi societari che portarono al fallimento del Cosenza. Credo che quel Cosenza aveva una delle squadre più forti della sua storia, che avrebbe potuto  salire in A se non fossero nati quei problemi, basti pensare che molti di quei giocatori giocarono per anni in Serie A. Dopo quell’anno, il Cosenza ci mise 15 anni a tornare nel calcio che conta. C’è da dire che il nostro fallimento  ha favorito la veloce scalata della Fiorentina dalla C2 alla B, con la complicità delle istituzioni che non hanno fatto nulla per salvare la società, che per la città di Cosenza rappresentava un importante patrimonio".

Resta il fatto che tanti presidenti, nonché imprenditori calabresi, hanno portato le squadre della nostra regione ad essere protagoniste anche nel calcio conta. Sei d’accordo su questo?

“Oggi gestire una società di calcio è davvero difficile, molto più di una fabbrica. A Reggio si è visto grande calcio con una gestione perfetta, lo stesso a Crotone, come anche Pagliuso a Cosenza. Personaggi come Foti, Vrenna e lo stesso Pagliuso, non vanno dimenticati perché hanno fatto la storia del calcio calabrese e di una regione intera”.

Quali differenze noti tra il tuo calcio e quello di oggi ?

“Il calcio è cambiato, sono cambiati i giocatori. Ci sono anche oggi i fenomeni, ma gli altri venti anni fa giocherebbero due categorie sotto rispetto a dove giocano attualmente. Nei settori giovanili certi allenatori li caccerei via, ho assistito ad allenamenti dove  ragazzi di 13-14 anni trascinavano dei sacchi pesantissimi e dovevano farlo con una certa velocità, quando invece bisognava farli lavorare con il pallone, davvero assurdo, il calcio è un’altra cosa. Come diceva Boskov, l’atletismo è atletismo , il calcio è un’altra cosa. La tecnica la puoi sempre migliorare, la corsa invece ce l’hai o non ce l’hai, basti pensare che un atleta lavora un anno per migliorare un millesimo di secondo il tempo che aveva totalizzato in precedenza".

Tu sei rimasto ancora nel mondo del calcio o ti occupi di altro ?

“Io non sono più nel mondo del calcio, sono riuscito a inserirmi in ambito lavorativo, giusto per ribadire il mio concetto di prima. Avrei potuto rimanere nel calcio, ma sono felice di aver fatto questa scelta, visto che oggi ho una società di autonoleggio. Vivo ormai a Cosenza da 17 anni, mia figlia è nata qui, quindi ormai mi sento più calabrese che lucano, considerato che ho lasciato la Basilicata a 13 anni per intraprendere la carriera da calciatore".

Sezione: Primo piano / Data: Sab 09 maggio 2020 alle 19:34
Autore: Rocco Calandruccio
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