In esclusiva ai nostri microfoni Francesco Iacopino, storico dirigente e simbolo della Reggina, il quale per oltre quaranta anni ha dedicato tutto se stesso al club amaranto, contribuendo da protagonista al raggiungimento di traguardi straordinari. Nel centottesimo anniversario della Reggina, chi meglio del dottor Iacopino, un uomo che sa bene cosa significa amare una passione chiamata Reggina.
Salve direttore, la Reggina ha compiuto 108 anni di storia, cosa ha rappresentato per lei questo club?
“La Reggina per me è stata la mia vita, avendola vissuta per oltre quarant’anni. Ho iniziato da ragazzo a vivere la Reggina, giocando nel settore giovanile come portiere, per poi ricoprire diversi ruoli dirigenziali. Quando ho iniziato a fare il dirigente mi occupavo un po’ di tutto, anche perché in quegli anni non era come oggi , dove ci sono più figure all’interno della società che consentono di poter suddividere il lavoro in base alle proprie mansioni. Nei primi anni sessanta è emersa la figura del direttore sportivo, rappresentata nella Reggina da Dolfin e Cataldo, i quali erano veri uomini di calcio dalle grandi competenze . Abbiamo sacrificato le nostre famiglie per la Reggina, ma è stato fatto per amore e con quel che senso di appartenenza che è fondamentale per centrare dei traguardi. In questi 108 anni di storia, sono allenatori e calciatori ad aver reso grande la Reggina”.
Lei ha vissuto tante epoche con la Reggina, quali sono i stati momenti più belli e quelli più brutti?
“In tanti anni di Reggina ho vissuto sia i bei momenti che quelli brutti. Naturalmente il momento più bello è rappresentato dalla prima promozione in A nel 1999, mentre quello brutto dalle due promozioni mancate: la prima con Maestrelli a Lecco e successivamente quella a Pescara con la Cremonese, in quest’ultima avremmo meritato di andare in Serie A. Solitamente si dice che il campo dà, ma in quel caso ci tolse tanto, perdendo ai rigori che incredibilmente furono falliti da Onorato e Armenise, due riigoristi che in quella stagione furono infallibili”.
Nei successi ottenuti dalla Reggina durante la sua lunga permanenza, quale era il vero segreto?
“ Nessun segreto, la nostra arma era il gruppo e il senso di appartenenza. Ogni giocatore riusciva a rendere al massimo, perché si sentiva importante per la squadra. Tutto questo ha consentito alla Reggina di compiere grandi imprese. Mi viene da pensare a giocatori come Rosin, Attrice, Mozart, Nakamura, tutti ragazzi che poi si sono ambientati alla grande e hanno contribuito da protagonisti a fare la storia della Reggina. Le racconto un aneddoto di quando Onorato e Lunerti inizialmente non andavano d’accordo, li mettemmo a confronto e diventarono poi grandi amici, oltre che la coppia d’oro di quella Reggina targata Scala che conquistò la promozione in Serie B”.
Tra i tanti giocatori passati dalla Reggina, c’è qualcuno dal grande talento che però non ha poi mantenuto le aspettative?
“Mi vien da pensare a due giocatori, vale a dire, Roberto Baronio e Massimo Orlando. Il primo aveva una tecnica e un carisma che faceva pensare ad una carriera straordinaria,invece è stata al di sotto delle sue possibilità pur giocando ad alti livelli. Nella sua stagione alla Reggina, tra lui e Pirlo, ero convinto che Baronio avrebbe fatto una carriera più importante rispetto a quella di Andrea, quando invece si verificò il contrario. Massimo Orlando era un talento pazzesco, ma anche lui fece una carriera al di sotto delle sue possibilità. Nell’estate del 1990 lo vendemmo per 6 miliardi alla Juventus, facendo un’operazione straordinaria che poi ci consentì di investire nel centro sportivo Sant’Agata. Molto bravo allora il presidente Benedetto, il quale si dimostrò davvero lungimirante”.
Come ha visto negli anni da dirigente i cambiamenti avvenuti nel mondo del calcio?
“Il calcio è cambiato con l’avvento delle prime sponsorizzazioni e delle televisioni, rendendolo sempre più un business. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, è cambiato totalmente anche nell’osservare un giocatore. Una volta avevamo due osservatori, i quali si posizionavano uno in gradinata e l’altro in tribuna, in modo da seguire meglio il giocatore in questione, mentre oggi basta studiarli in video senza girare il mondo”.
Alla Reggina attuale cosa consiglia?
“ Il presidente Gallo ha fatto e sta facendo grandi cose, non dimentichiamoci che ha preso una società in gravi difficoltà portandola in poco tempo a raggiungere la Serie B con importanti investimenti. Un consiglio che posso dare è quello di puntare sui giovani, visto che in questi anni si è scelto più di affidarsi a giocatori d’esperienza con ingaggi onerosi. Avere a disposizione una struttura di alto livello come il Sant’Agata, dovrebbe consentire di crescere e fornire giovani talenti alla Prima squadra, invece questo non avviene. Taibi sta facendo un ottimo lavoro, perciò confido in lui affinché la Reggina torni ad essere quella fabbrica di talenti come avveniva in passato”.
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