"Serve un progetto importante che comporti la grande ricostruzione trasformativa per il calcio italiano. Una sorta di cambiamento epocale. Non bisogna aspettare di ripristinare la normalità perduta, ma trasformare il modello calcistico già in difficoltà prima del Coronavirus. È indispensabile una rivoluzione. Non è tanto il problema se il calcio deve o non deve riprendere ma come lo farà. Il post Coronavirus significa crisi e quindi bisogna attrezzarsi per un calcio nuovo e sostenibile".
Sono le parole di Gabriele Martino, dirigente sportivo di grande esperienza che suggerisce i risultati di un lavoro minuzioso, frutto di anni di studio.
"Il problema non è se si deve o non deve ripartire, ma come ripartire. Serve una nuova legge quadro sui campionati italiani. Lo si poteva programmare con calma tempo fa, ma ora bisogna farlo necessariamente. Consiglio un calcio professionistico fatto di 60 società e non più di 100. Una lega unica di professionisti con l’introduzione di un campionato di secondo livello a 2 gironi suddiviso territorialmente. Questo secondo girone sarebbe costituito da 20 squadre selezionate tra le 27 che hanno diritto ai play-off di C più le prime classificate dei 3 gironi. Il criterio deve essere comunque basato sulla solidità, sulla trasparenza delle società e sui parametri che si rendono necessari per un club di professionisti. Solo così è possibile evitare una serie di ricorsi ed è verosimile immaginare un calcio di professionisti sostenibile, appetibile e di qualità".
Il dirigente invita pure ad una revisione della “legge 91 del 23 marzo del 1981 che riguarda la contrattualistica, le norme e il rapporto tra società e sportivi professionisti. Così come tocca rivedere la ex legge Melandri che regola la distribuzione tra le società dei proventi audiovisivi in un calcio post Coronavirus. Infine, auspica la creazione di una legge ad-hoc per la nascita di una lega semiprofessionistica di 40 squadre divise territorialmente in due gironi”.
L’ex ds di Reggina, Lazio, Catanzaro ed altre inoltre ribadisce "l’importanza fondamentale per le società di calcio di dotarsi di strutture all’avanguardia e di un settore giovanile dove formare calciatori da utilizzare in prima squadra. Soprattutto in un calcio più sostenibile dove vanno abbattuti i costi, attingere al proprio vivaio diventa una risorsa preziosissima e imprescindibile. La Reggina che conoscevo, non l’attuale con la quale non ho alcun tipo di rapporto professionale, ebbe la lungimiranza di capirlo ben presto. Fondò le sue fortune proprio sul settore giovanile. La lista dei giocatori che hanno fatto carriera sarebbe lunga. Rimango invece sorpreso quando una proprietà ambiziosa di Serie C non tira fuori dal proprio vivaio giocatori che indossano la maglia della prima squadra. A mio avviso, manca una visione societaria. Il problema è che spesso si guarda subito al successo ad ogni costo, non considerando che di frequente se ne esce in perdita sul campo e sui bilanci".
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